Trump a difesa del valore occidentale, cioè di Dio, cioè dello sfruttamento capitalista
Nel discorso con cui si rivolge alla nazione (qui), dopo aver colpito tre siti nucleari iraniani, Trump interpella direttamente l’Iran, pretendendo di fare la pace altrimenti sarà tragedia. Dice due battute sul terrorismo di Stato dell’Iran (che definisce bully) e, dunque, ringrazia i soldati e i generali per aver condotto un’operazione “spettacolare”. In chiusura, è il turno di ringraziare Dio:
«And I want to just thank everybody, in particular God. I wanna just say we love you God. And we love our great military. Protect them. God bless the middle east. God bless Israel and God bless America».
Il discorso di Trump può sembrare a tratti bambinesco (pure nell’uso ludico di un lessico sottostandard), a tratti semplicemente contraddittorio (fare la pace attraverso la guerra, per esempio), ma io credo sia invece estremamente lucido. La sintesi della sua agenda è “Dio”, appunto, ma passa da una politica emergenziale, di crisi, cioè di guerra, sia interna agli Stati Uniti sia esterna, rivolta a tutto il resto.
Siamo di fronte a uno dei momenti di più alta intellegibilità del progetto trumpiano. Trump, come sostiene Slavoj Žižek (in Trump e il fascismo liberale, uscito per Ponte alle Grazie), ha già avviato la «terza fase del capitalismo», cioè una via d’uscita per gli Stati Uniti dal modello neoliberista, divenuto insostenibile. Parafrasando Yanis Varoufakis (la cui analisi è disponibile qui), il “masterplan” di Trump comprende (1) l’introduzione di tariffe “shock” per costringere, alla fine, un deprezzamento relativo del dollaro; (2) la svalutazione del dollaro per reindustrializzare il paese e rilanciare le esportazioni; (3) lo sfruttamento della minaccia delle tariffe e del ritiro della protezione militare per mantenere il dollaro come valuta universale. La “trumpizzazione” della politica globale coincide con lo sforzo di tradurre in termini di politica ed economia reale la consapevolezza che la prosperità nel modello tardo capitalista non può essere universalizzata (ancora, in termini simili, Žižek). Un fascismo tardo capitalista (come direbbe Mikkel Bolt Rasmussen) che chiude all’interno per sparigliare all’esterno.
E infatti Trump ha ripreso con convinzione (cioè nella prassi) il dispositivo ideologico (quasi un topos, un luogo comune) dell’Occidente cristiano contro l’Oriente islamico, perché questo dispositivo è l’ultima spiaggia prima di dover giocare, anche nelle trattative e nelle uscite pubbliche, le carte dell’imperialismo come risposta legittima del capitalismo in crisi. Trump è a un passo dal dire: sì, gli Stati Uniti stanno destabilizzando il Medioriente per sfruttare la crisi politica che ne conseguirà per ripetere meccanismi di accumulazione originaria: furto di terra e di risorse naturali. Questa mossa strategica gli viene senza dubbio dalla rinnovata alleanza con il governo di “Bibi” (lo chiama così durante il discorso) Netanyahu, il quale non solo vuole proseguire indisturbato la pulizia etnica della Striscia di Gaza e la colonizzazione della Cisgiordania, ma vuole anche rinnovare l’impegno nella espansione territoriale fino al “Grande Israele”. Non è difficile immaginare che i tentennamenti iniziali di Trump nel fornire supporto bellico a Israele fossero invece l’espressione della nuova diplomazia come business, cioè una presa di posizione utile a maturare accordi economici migliori. Trump vuole da Israele l’alibi (qui il mio saggio Israele è un alibi) dunque l’impunità “simbolica” di poter agire, senza rendere conto a nessuno, cioè senza limiti giuridici e politici per fare affari. Netanyahu vuole godere tramite gli Stati Uniti della sensazione di imbattibilità dovuta alla deterrenza militare. Trump e Netanyahu desiderano la “benedizione” (un vero e proprio business plan mascherato) che Netanyahu ha condiviso nel settembre 2024 con l’Assemblea Generale dell’ONU, ovvero l’egemonia sul Medioriente.
Torniamo al discorso di Trump in seguito ai bombardamenti in Iran. Dice: «E voglio ringraziare tutti, in particolare Dio. Voglio semplicemente dire: Dio, noi ti amiamo. E amiamo il nostro grande esercito. Proteggilo. Dio benedica il Medioriente. Dio benedica Israele e Dio benedica l’America». Finora i riferimenti a Dio e alla simbologia cristiana da parte di Trump, soprattutto durante questo secondo mandato, con molta meno parsimonia dei suoi predecessori (un’analisi qui), sono stati inquadrati in un uso strumentale: per parlare direttamente alle comunità evangeliche estremiste e ai cristiani conservatori; per ripetere la retorica di altri regimi autoritari (dei quali vorrebbe copiare anche l’uso delle parate militari). Io credo, invece, che Trump parli di Dio in vece di parlare del Denaro. Scriveva Marx nei Manoscritti economico filosofici del ’44: «Il denaro, poiché possiede la proprietà di comprar tutto, la proprietà di appropriarsi tutti gli oggetti, è così l’oggetto in senso eminente. L’universalità della sua proprietà è l’onnipotenza del suo essere; esso vale quindi come ente onnipotente». Lo stesso Marx che, ironicamente (per me), scriveva in Sulla questione ebraica (1943): «Il denaro è il geloso Dio d’Israele, di fronte al quale nessun altro Dio può esistere […] Il denaro é il valore universale: per sé costituito, di tutte le cose.».
Trump vuole fondare una nuova religione (come idealismo propagandistico), perché egli ne riesca onnipotente: vuole rifondare l’etica verso la definizione di un nuovo standard di ciò che è bene e ciò che è male, identificandolo con ciò che è bene e ciò che è male per gli affari. Quest’etica risuona perfettamente in gran parte del suo elettorato perché è l’etica con cui la classe capitalista ha lentamente colonizzato il discorso pubblico. Come scrive Christoph Tarkos in Soldi:
«Colmi del valore dei soldi non rimane altro che passare all’azione, tutte le azioni che saranno motivate dal valore supremo saranno azioni efficaci, buone, sicure, saranno successi che trasformeranno nei fatti il mondo e che porteranno nei fatti un po’ di bene, che possono soltanto portare il bene. Il bene è il realizzarsi della concretizzazione in termini di soldi, i soldi sono il motore del concretizzarsi in termini di soldi».
Trump, in questo, porta all’estremo (rende immaginaria) una tradizione: chi si ricorda come Bush abbia rivendicato di essere stato spinto da Dio a muovere la guerra in Iraq e Afghanistan, lo stesso Dio che gli avrebbe parlato della “pace” nel Medioriente, una pace che garantisse la sicurezza a Israele e uno Stato al popolo palestinese (qui il pezzo del Guardian)?
Soltanto il denaro può essere visto come una benedizione per il Medioriente, per Israele e per gli Stati Uniti contemporaneamente:
«E voglio ringraziare tutti, in particolare il Denaro. Voglio semplicemente dire: Soldi, noi ti amiamo. E amiamo il nostro grande esercito. Proteggilo. Il denaro benedica il medio oriente. Il denaro benedica Israele e benedica l’America».
Trump vuole essere un presidente assoluto, nel senso che è sciolto da ogni legge eccetto la legge della meritocrazia, la legge del libero mercato. Quando Trump si pone a difesa dei valori occidentali, in realtà si pone a difesa del valore occidentale. Della ricchezza occidentale che, caduto ogni ottimismo, non può essere condivisa.
Trump sogna un fascismo tardo capitalista nel quale è sciolto da ogni legame, nel quale non esiste contraddizione tra il pacifismo e il bombardamento dell’Iran, non c’è contraddizione tra la difesa della libertà personale e la repressione del dissenso. Perché la pace a cui pensa Trump è una pace economica. La libertà personale di Trump è la libertà neoliberista. Il Trump fascista non si contraddice se schiera l’esercito in California, se bombarda dei siti nucleari in un paese straniero: in entrambi i casi, sta fabbricando una pace per la crisi economica della classe capitalista, alla quale vuole garantire tutte le libertà democratiche e molto oltre di accumulare ricchezza, di sottrarre risorse. Le altre idee di pace e di libertà (anche concorrenti a destra, come per esempio l’islamismo) sono viste come una minaccia a questa pace e questa libertà, la violenza bellica e liberticida dunque come una liberazione.
Demetrio Marra
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