La solidarietà con la Palestina nel mirino

L’accusa per le otto persone arrestate, tra cui il presidente dell’Associazione palestinesi in Italia (Api), Mohammad Hannoun, è pesantissima, cioè associazione con finalità di terrorismo. E com’era ovvio, governo, destre e non solo non hanno perso tempo e si sono già scatenati per estendere quella accusa all’insieme delle persone e delle realtà che si sono mobilitate al fianco del popolo palestinese e contro il genocidio.

Insomma, dopo il bullismo politico contro Francesca Albanese, i tentavi di espellere Mohamed Shahin, la dichiarazione di illegittimità dello sciopero generale del 3 ottobre e gli annunci di iniziative legislative tese a mettere fuorilegge la critica al sionismo, ora siamo oggettivamente di fronte a un salto di qualità.

Non è nostra intenzione – e non è nemmeno il nostro ruolo – entrare nel merito delle inchieste della magistratura, ma non possiamo esimerci dal notare, comunicato delle procure alla mano, che il cuore delle accuse si basa essenzialmente sulla parola di Israele circa la natura di alcune associazioni palestinesi. E questo è un problema che va ben oltre il perimetro giudiziario.

Infatti, quando leggiamo il lunghissimo comunicato del Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo e del Procuratore della Repubblica di Genova, che spiega in dettaglio le accuse, non troviamo preparativi di attentati o atti violenti di alcun genere e nemmeno la detenzione di un semplice coltellino svizzero, ma fondamentalmente l’accusa di aver versato il denaro raccolto a sostegno della popolazione palestinese ad “associazioni con sede a Gaza, nei Territori Palestinesi o in Israele, dichiarate illegali dallo Stato di Israele, perché appartenenti, controllate o comunque collegate ad HAMAS”.

Non c’è alcuna indagine autonoma da parte della magistratura o degli organi di sicurezza italiani sulla natura di queste associazioni, cosa che peraltro Israele non permetterebbe a nessuno, ma una semplice dichiarazione da parte del governo israeliano. E com’è ampiamento risaputo, Netanyahu accusa di essere controllato o complice di Hamas praticamente chiunque esprima una critica, a qualsiasi titolo, all’operato del suo governo, compresa l’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi (UNRWA). Figuriamoci poi le organizzazioni palestinesi.

In altre parole, se questa è la ratio chiunque intrattenga rapporti, anche mediante donazioni, con organizzazioni e associazioni palestinesi sgradite al governo Netanyahu, rischia in prospettiva di finire sul banco degli accusati, politicamente o peggio.

Sembra quasi che i procuratori si rendano conto delle possibili implicazioni quando in coda al loro comunicato scrivono: “Come ovvio, le indagini e i fatti attraverso esse emersi non possono in alcun modo togliere rilievo ai crimini commessi ai danni della popolazione palestinese successivamente al 7 ottobre 2023 nel corso delle operazioni militari intraprese dal Governo di Israele, per i quali si attende il giudizio da parte della Corte Penale Internazionale, da rendersi in conformità allo Statuto di Roma, ratificato da 125 Stati Membri, fra i quali, in un ruolo di impulso e sostegno, l’Italia”.

Peccato soltanto che solo dieci giorni fa altri due giudici di quella Corte penale siano stati sottoposti a sanzione dagli Usa, perché si erano permessi di respingere l’istanza israeliana, tesa a bloccare le indagini sui crimini di guerra, e che il governo italiano, così come gli altri governi europei, non abbia mosso un dito.

Luciano Muhlbauer

* foto in copertina Gianfranco Candida

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