10 anni di Gaza Freestyle

I gruppi che partono, gli incroci negli aeroporti. 
Impacchettare, riempire sacche e borsoni, organizzare le formazioni. 
Chi già sarebbe stato a Betlemme e chi avrebbe aspettato di passare il Natale a casa per poi partire. 
Ci saremmo ritrovate e ritrovati anche quest’anno a Gerusalemme e da lì, tutte e tutti insieme, avremmo raggiunto il valico di Herez. 
Dieci anni non passano invano. 

Era tutto pronto, o quasi, per la decima carovana di solidarietà del Gaza Freestyle.

 

Oggi avremmo incontrato Meri Calvelli al Centro italiano di scambio culturale VIK – Vittorio Arrigoni. Avremmo stretto forte gli amici, le compagne e i compagni palestinesi al fianco dei qualinegli anni, abbiamo costruito decine di progetti. Passati i controlli strettissimi dell’esercito israeliano, avremmo oltrepassato il valico militare e saremmo entrati nella Striscia di Gaza. 
Avevamo un programma denso e un obiettivo grande a cui lavoravamo da tempo: inaugurare la Casa internazionale delle Donne. Una strada lunga di confronto, dialogo e costruzione internazionalista di percorsi di solidarietà e scambio, intrapresa anni fa e che oggi portava i suoi frutti. 
E poi avremmo svolto laboratori e gruppi di attività, come ogni anno, per condividere con le ragazze e i ragazzi di Gaza le nostre arti e momenti di sport, musica, aggregazione: il circo, il laboratorio hip hop, lo skate, il calcio, l’arte e la fotografia. 

Dieci anni non passano inosservati e attraversando la Striscia di Gaza abbiamo sempre provato a lasciare un segno concreto della solidarietà internazionalista che ci muove. Due skateparks, un tendone da circo, le scuole e le formazioni, un grande Forum delle Donne. Ma soprattutto legami: fratelli e sorelle palestinesi con cui abbiamo costruito ogni singolo progetto.

 

Gaza FREEstyle 2019


Arrivati a dieci anni, però, non abbiamo nulla da festeggiare.
Il nostro percorso è nato tra le ceneri lasciate dall’esercito israeliano nel 2014 dopo l’operazione Margine Protettivo, in cui vennero uccisi più di duemila palestinesi, di cui almeno cinquecento bambini.
Oggi ci avviciniamo al 2024, e a Gaza è in corso il genocidio del popolo palestinese, la distruzione sistematica di ogni possibilità di vita, di ogni infrastruttura. Coloro che conosciamo, come ogni altra persona di Gaza, non sono al sicuro da nessuna parte
Lì dove c’era quotidianità nonostante  tutto, oggi rimangono macerie e polvere. Migliaia di corpi ancora giacciono sotto le rovine di luoghi che abbiamo attraversato. Lì dove i bambini crescevano e giocavano, dove la cultura e la resistenza palestinese avevano radici profonde, oggi c’è solo il suono lacerante delle bombe.
Gaza era una gabbia, chiusa da 17 anni nel silenzio complice della comunità internazionale, in una condizione che umiliava la dignità umana. Milioni di persone costrette a nascere e crescere sotto assedio costante, strozzate dalla mancanza di elettricità e di acqua, costantemente sorvegliate dal ronzìo dei droni, impossibilitate ad uscire, a guardare oltre l’orizzonte stretto di un mare militarizzato o di una terra chiusa da muri e filo spinato.

Gaza City from the Vik Center

Eppure, Gaza l’abbiamo conosciuta come luogo di vita e verità. Negli occhi dei bambini e nella loro dura consapevolezza, paragonabile a quella degli anziani. La vita si rigenerava tra la sabbia dei campi profughirinnovando la promessa di ritorno. A Gaza abbiamo imparato a dare significato alle parole libertà e giustizia, nel sorriso fiero di chi ha la resistenza come unica forma necessaria di esistenza. La riaffermazione del popolo palestinese per il diritto alla vita ci ha insegnato a riconoscere, nel profondo, il valore del privilegio nel poter disporre di un passaporto rosso, quanto la necessità dell’internazionalismo come pratica reale di solidarietà. 
Oggi, sentiamo addosso l’ingiustizia che vivono i giovani di Gaza, cresciuti tra le aggressioni militari dell’esercito israeliano e l’insormontabile gabbia murata dell’occupazione sionista.
Sentiamo addosso la vergogna di fronte agli amici e alle amiche di Gaza, quando le istituzioni italiane si astengono perfino alle votazioni ONU per il cessate il fuoco. 
Sentiamo addosso la responsabilità di raccontarea chi ci ascolta in Italia, tutta la ferocia espressa dal sistema di occupazione e colonizzazione israeliana, capace di svilupparsi nella West Bank e di mantenere Gaza in stato perenne di assedio, in un macabro esperimento a braccetto con il governo degli Stati Uniti durato 17 anni sulla pelle di più di due milioni di persone.
Tutto ciò che abbiamo visto e conosciuto è stato colpito o abbattuto. È diventato polveree tra quella polvere riposano ormai in eterno decine di migliaia di palestinesi, seppelliti dalle rovine delle case, delle moschee, degli ospedali, delle scuole, delle chiese. Non c’è luogo sicuro tra le strade di Gaza…e noi non possiamo fermarci. Lo dobbiamo ad ogni persona che abbiamo conosciuto, ogni sorriso condiviso e progetto costruito. Non possiamo permetterci il lusso della rassegnazione, anche questa è una verità ispirata dal popolo palestinese.

Women Forum

 

È necessario continuare a mobilitarci, a riempire le piazze, a raccogliere fondi, a boicottare attivamente prodotti e aziende complici dell’occupazione e del massacro in corso.

Lo dobbiamo fare qui, da noi e insieme, in ogni città in cui ci troviamo con i mezzi di cui disponiamo. Lo dobbiamo fare perché a Gaza in queste ore c’è Ali, il nostro amico pittore, che cerca una via per fuggire verso sud con il suo bambino, mentre Ahmed è circondato dai tank israeliani a Gaza City perché non vuole abbandonare la sua casa –poi per Randa, Haya, Shahd e le tante altre donne che perdurano in condizioni igienicosanitarie brutalmente inesistenti nelle tende di fortuna. Per ogni bambino o bambina a cui è stata rubata linfanzia con violenza inaudita: lo dobbiamo al piccolo Yasser, di cui non abbiamo notizie, uno dei giovani skater più promettenti di Gaza, e a Rajab, maestro di skate, scomparso dopo che ci ha detto di trovarsi in una scuola UNRWA che l’esercito israeliano aveva iniziato a colpire.
Faremo fruttare ciò che ha preso piede e si è consolidato finora
Lo faremo perché questa resistenza è la resistenza di tutti i popoli nella lotta al razzismo, al colonialismo, allo sfruttamento, al patriarcato e al liberismo

Torneremo a Gaza non appena possibile e ci riabbracceremo tanto, prima di rimetterci a costruire Case, relazioni, spazi, resistenze, lotte e affetti più forti di prima!

Gaza FREEstyle, 27 dicembre 2023

 

Gaza City port

Green Hopes Project

 

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