L’estrema impunità del governo israeliano. Il Medioriente è sotto attacco

Israele si fa beffe del “diritto internazionale” ormai da tempo. L’inviolabilità dei confini nazionali e della sovranità nazionale sono principi validi solo per alcuni stati-nazione. Soprattutto dal momento che questi attacchi micidiali a Palestina, Libano, Yemen, Siria e presto anche Iran vengono portati avanti dal principale alleato di Washington nella regione, non c’è alcun coro di condanna a israele, nessuna sanzione. Tutto il contrario.

L’imperialismo statunitense ha ribadito il suo fermo sostegno a israele, con Blinken che – in ultimis – ha affermato che il paese ha un “legittimo problema” in Libano. Questi sono i doppi standard a cui cercano di abituarci, mentre il numero di morti causati dall’esercito israeliano non fa che aumentare in tutto il Medio oriente.
La retorica e le azioni di guerra si sono intensificate in tutta l’area negli ultimi mesi. Dopo l’uccisione dei sei ostaggi all’inizio di settembre, Netanyahu ha perso ulteriormente il consenso interno, dovendo affrontare proteste di massa nelle strade con centinaia di migliaia di persone e uno sciopero generale (seppur di breve durata). Ciò è stato provocato dal rifiuto di Netanyahu di ritirare l’esercito israeliano dal Corridoio Filadelfia lungo il confine tra Gaza ed Egitto, considerata una palese mancanza di preoccupazione per gli ostaggi.
Con il rifiuto di ritirare l’esercito da tutta Gaza, Netanyahu ha mirato a rendere impossibile per Hamas accettare un cessate il fuoco in tali condizioni. Per la sua stessa sopravvivenza politica, il leader del governo di destra israeliano ha bisogno di mantenere il paese in uno stato di guerra.

Nell’ultimo anno, israele e Hezbollah in Libano non hanno dichiarato ufficialmente lo stato di guerra ma tuttavia, dall’attacco di Hamas dell’anno scorso e prima dell’attuale massiccio bombardamento aereo a Beirut, 433 combattenti di Hezbollah erano già stati uccisi in scaramucce, con altri 78 combattenti di altri gruppi uccisi, e oltre 150 civili.
Da parte israeliana, il conteggio delle vittime è stato di 20 soldati dell’esercito di occupazione israeliano e 26 civili. Ciò porta a un totale di 700 morti prima ancora che la guerra totale fosse iniziata. A tutto questo, oggi si aggiungono i morti e i feriti negli attacchi con cercapersone e walkie-talkie che hanno colpito funzionari e comandanti di Hezbollah ma anche centinaia di civili, i bombardamenti su Beirut e Damasco e la minaccia continua di invadere via terra “per liberare il sud del Libano“.
Il 17 settembre, lo stesso giorno dell’attacco al cercapersone, il governo israeliano aveva votato per ampliare gli obiettivi dell’attuale guerra per mettere in sicurezza il confine con il Libano con lo scopo di “riportare i residenti del Nord in sicurezza alle loro case” e l’ufficio di Netanyahu ha aggiunto che “Israele continuerà ad agire per attuare questo obiettivo”.
Proprio come ha usato gli ostaggi per giustificare la distruzione totale di Gaza, ora utilizza gli sfollati dal Nord del paese per giustificare ulteriori massacri in Libano.

Quando si parla di “rischio escalation” non si considerata – volutamente o meno – che l’allargamento della guerra è già in corso, alimentato da israele con l’obiettivo di raggiungere una reazione da parte dell’Iran, fino ad oggi manovratore esterno che ha però dichiarato più volte di non avere l’intenzione di intervenire militarmente: “L’Iran non schiererà combattenti in Libano e Gaza per affrontare israele” ha dichiarato il portavoce della diplomazia iraniana, Nasser Kanani,””I governi del Libano e della Palestina hanno la capacità e il potere di affrontare l’aggressione del regime sionista, e non c’è bisogno di schierare forze ausiliarie o volontarie iraniane“.
A un anno dall’inizio del genocidio in corso a Gaza, il governo israeliano continua a forzare l’allargamento della guerra e a ricevere il sostegno di tutti i paesi occidentali.

Ad aprile un attacco israeliano all’ambasciata iraniana a Damasco ha causato la morte di 16 persone, tra cui 8 ufficiali della guardia rivoluzionaria iraniana. Dopo quell’attacco, l’Iran aveva risposto con il lancio di centinaia tra missili e droni verso israele, con una risposta che a molti è sembrata più scenografica che efficace.
A maggio israele ha attaccato per l’ennesima volta il Sud del Libano, da cui di tutta risposta è stato lanciato un missile balistico. Poche settimane dopo, israele ha lanciato bombe al fosforo nella stessa area.
A luglio israele ha intercettato e ucciso in Iran il capo politico di Hamas, Ismail Haniyye, eliminando di fatto una delle poche figure disponibili a trattare per arrivare a un cessate il fuoco su Gaza.
Durante tutta l’estate, israele (con l’aiuto dei coloni sionisti) ha intensificato gli attacchi contro i palestinesi, arrivando ad assassinare più di 600 persone.
Sentiamo molto parlare dell’importanza di evitare “una guerra totale”, ma considerato questo turbinio di violenza che sta colpendo già milioni di persone da Rafah a Damasco, ci si pone diverse domande.

Abbiamo ancora una comprensione della guerra che è anacronistica: lotte di forza su campi di battaglia ristretti, dove si fronteggiano gli eserciti e i civili sono tenuti fuori dalle battaglie, ancor di più se bambini. Questa concezione è stata rivitalizzata dalla guerra in Ucraina, che ha visto carri armati, artiglieria e fanteria combattere in scene che non abbiamo più visto in Europa dal 1945. Ma i conflitti attuali che hanno ricevuto meno attenzione, come quello in Sudan, o quelli recenti come a Gaza, suggeriscono che in realtà i conflitti odierni sono mostruosamente diversi. Non salgono e poi scendono lungo una scala prevedibile di violenza, sono un flusso continuo e dinamico di vari livelli di violenza che non risparmiano nessuno e nessuna. Non solo, l’utilizzo di sistemi di intelligenza artificiale per accelerare il lavoro di targhettizzazione degli obiettivi, sta evidenziando il solo risultato di un aumento esponenziale delle vittime civili.
Gli ultimi giorni hanno evidenziato l’inadeguatezza del nostro vocabolario per questo momento storico.
Benjamin Netanyahu ha tuonato una sfida bellicosa all’ONU, ignorando le suppliche sempre più patetiche del suo alleato più potente – gli USA –  e dei suoi servi.

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