Milano città chiusa
Expo 2015: debito, cemento, precarietà. No non temete, non siamo tornati indietro di dieci anni e non sta per partire l’ennesima assemblea NoExpo contro il grande evento. Non siamo in quella Mayday milanese del 2013 aperta proprio da uno striscione con scritta sopra quella frase. A dieci anni di distanza possiamo però constatare che il cerchio si è chiuso, quelle tre parole gettate al vento come semi per denunciare le conseguenze del grande evento hanno generato i loro frutti avvelenati. Il debito pubblico si è trasformato in un enorme regalo ai privati che ha fatto diventare Milano la città luna park dei costruttori, degli immobiliaristi e dei fondi speculativi. Il cemento è colato e cola come non mai, tanto che Milano è stata secondo i dati ufficiali dell’Ispra la città con il record di consumo di suolo nel biennio 2021-2022. La precarietà lavorativa (ricordate la campagna “Io non lavoro gratis per Expo”?) si è allargata diventando precarietà esistenziale. A quelle tre parole se ne aggiungeva un’altra in quei giorni di dieci anni fa: poteri speciali. I NoExpo intendevano mettere in guardia da un modo di governare le politiche pubbliche fatto di commissari, deroghe e consenso: con una mano si aiutare gli avvoltoi del capitale a estrarre profitto dalla città, con l’altra inglobare nella festa anche che le voci meno istituzionali (ancora, ricordate il modello Cascina Triulza?).
Dieci anni dopo, oggi la bolla di Milano è scoppiata. Forse esiste un limite alle stronzate che si possono raccontare, persino qui a Milano. Oggi qui i problemi materiali incasinano le vite non più solo dei poveracci e dei migranti di cui non frega nulla a nessuno, ma anche della classe media progressista e dei suoi figli. La politica finge quindi di correre ai ripari, anche perché negli ultimi mesi è scoppiata una nuova moda, è iniziato “a serpeggiare un nuovo modo di odiare Milano tra un certo tipo di persone che, fino a qualche anno fa, mi davano l’impressione di amarla” come ha scritto Anna Momigliano su Rivista Studio. A contribuire a bucare la bolla comunicativa di Milano place to be sono stati a inizio marzo un articolo mainstream pubblicato sul Fatto Quotidiano e soprattutto un libro. L’articolo è quello della giornalista polemista Selvaggia Lucarelli titolato “Ricca, indifferente, Milano: un trendy dal quale fuggire”; il libro è quello di Lucia Tozzi, “L’invenzione di Milano”, un coraggioso pamphlet che demolisce il cosiddetto modello Milano nei suoi tre assi fondamentali: comunicazione, cultura, partecipazione. E così ora se cercate in rete cose su Milano vi potete imbattere in pezzi che raccontano di una città esclusiva, escludente, elitaria, per ricchi, nemica dell’ambiente, dei ciclisti, dei migranti, insicura, svenduta ai fondi immobiliari, ai turisti, ai city users, ai palazzinari, soffocata dalle case a prezzo d’oro, distruttrice del suo passato, attrattiva e traditrice, seduttiva e respingente per chi cerca case da 150mq a meno di 3 mila euro al mese come per chi vive con stipendi da 1.300 euro al mese o per chi campa con nulla in mezzo a una strada, scritti però non solo da antagonisti o comitati incazzati. Si è quindi aperto un importante spazio di dissenso, immaginazione e discussione sul presente e il futuro della città. A cosa porterà è presto per dirlo, ma c’è un rischio (tipico della Milano post 2015): tante parole, pochi fatti. Milano è una città autoreferenziale che si parla addosso tantissimo, per dieci anni lo ha fatto nel “bene” oggi inizia a farlo nel “male”. A Milano da un po’ di anni tutto scorre, sempre. Milano non si ferma non è stato solo uno slogan sbagliato detto nel peggiore dei momenti possibile, è lo spirito di questa città che mangia e digerisce tutto e tutti e se serve risputandolo a chilometri di distanza. Qualcosa di nuovo si muove, come le tende degli studenti in piazza Leo, le discussioni sul caro casa, i comitati di zona che riescono su alcune battaglie ad allargare la protesta, come per il glicine di piazza Baiamonti. Resistere è necessario, ma servirà un nuovo attivismo urbano per incidere nei processi urbani.
Milano oggi è in disequilibrio. Di solito le città si regolano sull’equilibrio tra vecchio e nuovo e sull’equilibrio tra le diverse parti che la abitano. Per Milano oggi la metamorfosi verso “l’altra città di domani” è velocissima. Milano in questi dieci anni si è raccontata come una città aperta, due tra gli aggettivi più utilizzati per descriverla sono stati “inclusiva” e “accogliente”, e per certi versi a ragione perché Milano ha attratto giovani e meno giovani, studenti, lavoratori, artisti, investitori e ha accolto i migranti in transito nei momenti di maggior crisi dei flussi senza cedere al leghismo razzista che stava invece crescendo nel resto del paese. E però dal 2021 con il Sala bis si è compiuto un salto, quello verso la città fortino, elitaria, per pochi: chiusa. Se le politiche che hanno intenzione di migliorare la qualità della vita degli abitanti sono classiste, l’effetto sarà quello di allargare il centro della città fuori dal centro, costruendo una città vivibile per una fascia sempre più ricca di persone. Gli altri fuori. Gli esempi che ci raccontano come Milano stia andando in questa direzione sono molteplici, più o meno noti. Dall’Atm che non trova autisti perché offre degli stipendi troppo bassi rispetto al costo della città, agli studentati regalati ai privati che affittano a prezzi più alti di quelli di mercato, ai posti nei nidi comunali insufficienti ad accogliere i nuovi figli di Milano (alla faccia della Milano attrattiva). Tra gli esempi meno noti ma molto esemplificativi della situazione c’è quello della piscina Scarioni a Pratocentenaro/Niguarda, esempio di spazio pubblico privatizzato a danno della gente normale. La Scarioni è una piscina pubblica in un quartiere prevalentemente popolare chiusa da qualche anno, un impianto che aveva bisogno di lavori di ristrutturazione e col passare degli anni, senza manutenzione, lo situazione è peggiorata. Ora il Comune dice che non ha soldi per sistemarla e la svenderà a un privato, un colosso spagnolo che ha comprato anche il Lido, altro impianto pubblico privatizzato. La società spagnola dice che ha un progetto da 15 milioni di euro, la giunta Sala il 23 settembre 2022 vota l’interesse pubblico a questo progetto dove è scritto che i biglietti costeranno 12€ nei giorni feriali e 18€ nei weekend. Diventerebbe una piscina con prezzi d’élite in quartiere popolare. Oltre al danno la beffa perché verranno tagliati anche 5 alberi e ridotta l’area verde in una città che ha un bisogno esistenziale di alberi. Ah, ovviamente verranno costruiti anche nuovi parcheggi per le auto. E così la piscina fighetta è servita e magari sarà anche bella, ma toccherà scavalcare la notte per godere di tanta bellezza. Questa è Milano.
Roberto Maggioni
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