Inizia a Gaza una fragile tregua
Dalle 10.15 di questa mattina (ora italiana) è entrata in vigore la tregua di 42 giorni nella Striscia di Gaza, dopo quasi 470 giorni di genocidio e decine di migliaia di persone uccise (quasi 47.000 morti di cui 17.500 bambini, 110.000 feriti e 11.000 dispersi secondo il Ministero della Sanità della Striscia).
Secondo gli accordi presi con la mediazione di Doha, Israele ritirerà i soldati dalle aree densamente popolate sia a Nord che a Sud di Gaza, mantenendo il controllo di un’area centrale che di fatto spacca in due la Striscia.
Nelle prossime sei settimane dovrebbero essere rilasciati 33 ostaggi israeliani e circa 1890 prigionieri palestinesi detenuti nelle terribili prigioni israeliane.
Secondo gli accordi, dovrebbero entrare a Gaza 600 camion di aiuti umanitari (molti dei quali fermi al confine da mesi in attesa di entrare); il numero non è chiaramente sufficienze per soddisfare i bisogni di chi è sopravvissuto a quasi 14 mesi di bombardamenti, sfollamenti, fame e malattie.
Per continuare a dar voce alla destra religiosa ultranazionalista presente nella Knesset israeliana – che attraverso Ben Gvir e Smotrich continua a provocare e infiammare la situazione – Nethanyahu ci ha tenuto a ribadire che è pronto a far saltare la tregua da un momento all’altro, con gli USA che ribadiscono il sostegno politico e economico a qualsiasi sua scelta.
La tregua è più fragile che mai, e il futuro per il popolo palestinesi di Gaza è incerto.
In Cisgiordania intanto, la popolazione si scontra con l’esercito israeliano e dell’Autorita Nazionale Palestinese, rispondendo ad arresti, uccisioni e sfollamenti.
A Jenin e a Nablus si aspetta la conferma della notizia del rilascio di Zakaria Zubeidi e Khalida Jarrar, due figure politiche importanti non solo per le loro città ma per tutta la Palestina, e che si vocifera rientrino nello scambio di prigionieri.
Lo Speciale Palestina di MilanoInMovimento
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