Gaza, la scorta mediatica – Il buco nero in cui è precipitato il giornalismo italiano

Sono tanti i sentimenti che affiorano leggendo Gaza, la scorta mediatica – Come la grande stampa ha accompagnato il massacro e perché mi sono chiamato fuori: rabbia, disgusto, indignazione, impotenza e in certi momenti disperazione. Quasi tutti sentimenti negativi quindi, tranne la rabbia che ci conferma di essere ancora vivi nonostante il tentativo di anestetizzazione generale, ma comunque fortissimi. E questo è il primo merito che va riconosciuto all’autore Raffaele Oriani. Uno tra i tanti di meriti.

Sono passati 250 giorni dal 7 ottobre, dall’attacco di Hamas e dall’inizio della rappresaglia (perché di questo si tratta) israeliana su Gaza. I morti hanno superato la cifra spaventosa di 37.000 cui vanno aggiunti un numero imprecisato di dispersi e un numero di feriti che veleggia verso i 100.000. Il che vuol dire una media di 150 morti ammazzati al giorno. Una mattanza per una popolazione di poco più di 2 milioni di persone. Nonostante le condanne diplomatiche, i procedimenti della giustizia internazionale, l’opposizione di una fetta consistente dell’opinione pubblica sia occidentale che mondiale Netanyahu e i suoi vanno avanti impunemente perché sanno benissimo che mai verranno abbandonati dal loro lord protettore internazionale: gli Stati Uniti e che le restanti prese di posizione, soprattutto della politica Occidentale, sono un vuoto chiacchiericcio privo di sostanza.

In questo scenario emerge la storia dell’autore, Raffaele Oriani, giornalista del Venerdì de la Repubblica (uno dei peggiori giornali in assoluto nel seguire il conflitto) che, a gennaio 2024 scoppia e decide di affidare a una lettera fortissima i motivi delle sue dimissioni. La reazione del piccolo villaggio autoriferito dei media mainstream è piuttosto tiepida (per usare un eufemismo) e la definiremmo “muro di gomma” . Nell’altro universo, quello dei social però, la lettera desta reazioni di massa, quasi tutte solidali. Il che ci racconta la scissione sempre più ampia tra il mondo delle oligarchie che ci governano e che si parlano e scrivono addosso tra loro e una fetta consistente di società (che sia di destra o sinistra poco importa) che non le sopporta più e che manca totalmente di rappresentanza politica.

La lettera è bellissima e ci sembra giusto riportarla per intero prima di proseguire con le amare considerazioni che emergono da questo libro:

«Care colleghe e colleghi ci tengo a farvi sapere che a malincuore interrompo la mia collaborazione con il Venerdì. Collaboro con il newsmagazine di Repubblica ormai da dodici anni ed è sempre un grande onore vedere i propri articoli pubblicati su questo splendido settimanale. Eppure chiudo qua, perché la strage in corso a Gaza è accompagnata dall’incredibile reticenza di gran parte della stampa europea, compresa Repubblica (oggi due famiglie massacrate in ultima riga a pagina 15). Sono 90 giorni che non capisco. Muoiono e vengono mutilate migliaia di persone, travolte da una piena di violenza che ci vuole pigrizia a chiamare guerra. Penso che raramente si sia vista una cosa del genere, così, sotto gli occhi di tutti. E penso che tutto questo non abbia nulla a che fare con Israele, né con la Palestina, né con la geopolitica, ma solo con i limiti della nostra tenuta etica. Magari fra decenni, ma in tanti si domanderanno dove eravamo, cosa facevamo, cosa pensavamo mentre decine di migliaia di persone finivano sotto le macerie. Quanto accaduto il 7 ottobre è la vergogna di Hamas, quanto avviene dall’8 ottobre è la vergogna di noi tutti. Questo massacro ha una scorta mediatica che lo rende possibile. Questa scorta siamo noi. Non avendo alcuna possibilità di cambiare le cose, con colpevole ritardo mi chiamo fuori»

Oriani, nel suo testo, affonda il bisturi nella cancrena che da ormai lungo tempo accompagna la nostra informazione e che sembra ormai irreversibile.

Ci racconta tutti i meccanismi e passaggi che hanno caratterizzato la narrazione dei media in questi mesi:
-L’iniziale schierarsi senza se e senza ma a fianco di Israele fingendo che tutto abbia avuto inizio il 7 ottobre.
-L’utilizzo studiato del linguaggio in cui, giusto per fare un esempio, gli israeliani sono sempre uccisi, assassinati o massacrati mentre i palestinesi muoiono.
-Il doppio standard utilizzato per raccontare l’invasione russa dell’Ucraina (alleata dell’Occidente) e quella della rappresaglia israeliana sulla Palestina (popolata da islamici e soprattutto non alleati dell’Occidente).
-L’estenuante dibattito terminologico/lessicale sul fatto che quello a Gaza sia o meno un genocidio, mentre quotidianamente il massacro continua.
-La potenza dei social (menzione d’onore all’eroico Eyes On Palestine) nell’aprire delle crepe che via via diventano voragini nel muro del racconto mainstream.
-Il ruolo importante delle “grandi firme” i cui nomi troverete nel saggio a orientare (o tentare) l’opinione pubblica.
-Il cambio di strategia, col passare dei mesi, con l’emergere delle dimensioni inaudite del massacro e con l’incapacità, da parte dei media, di far allineare tutta l’opinione pubblica con la narrazione dominante del “diritto di difendersi” da parte di Israele. Ora l’importante è “troncare e sopire” citando Manzoni.

E gli esempi della strategia del “troncare e sopire” sono tantissimi. Per esempio non mostrare mai la quantità impressionante (e mostrata durante i procedimenti penali internazionali contro Israele) di video girati impunemente dai soldati israeliani mentre compiono ogni genere di nefandezza nella Striscia e hanno l’impudenza di documentarle. Parlare di sfuggita, per esempio, della Marcia delle Bandiere di qualche giorno fa quando migliaia di israeliani suprematisti di estrema-destra (che va ricordato, sono al governo) hanno marciato per Gerusalemme in un tripudio di aggressioni e slogan razzisti tra cui “Gli arabi devono morire!”. Non osiamo immaginare cosa sarebbe successo a parti invertite…

Lo scenario svelato sui meccanismi perversi della nostra informazione è drammatico e la dinamica sembra ormai irreversibile. Quello che non fa direttamente la censura lo fanno la difesa dello status quo, del quieto vivere e dell’autocensura ormai dilaganti in ogni ambito della nostra società.

L’unica nota positiva, se ce ne possono essere, è che rimane una parte non pacificata della società che non si piega al conformismo dominante. Non siamo ancora tutti e tutte pacificati, indifferenti e anestetizzati insomma.

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