Il potere della spugna
Lo slogan: “Nessuno tocchi Milano”. L’ambizione: “il popolo arancione che diventa popolo della Nazione”. Qualcuno intona Bella ciao, altri O mia bela Madunina, altri ancora l’Inno di Mameli. A Roma il Presidente del Consiglio era Matteo Renzi, a Milano il Sindaco Giuliano Pisapia. Con questa formazione il 3 maggio 2015 il centrosinistra riusciva nel capolavoro di trasformare qualcosa di non particolarmente eccezionale – un po’ di casino in una manifestazione del Primo Maggio – in qualcosa di straordinario, al quale dare un seguito altrettanto straordinario, quasi epico, come si fa dopo un attacco devastante. #JeSuisMilano recitava l’hashtag condiviso sui social richiamando il #JeSuisCharlie di qualche mese prima, per fortuna senza la tragedia vera di Charlie. Lo stesso in quel 3 maggio 2015 una marcia di alcune migliaia di persone con alla testa sindaco, assessori e parlamentari di centrosinistra si muoveva per le strade del centro di Milano con il petto gonfio d’orgoglio e una spugnetta in mano per ristabilire l’ordine e ripulire le scritte lasciate dai barbari No Expo due giorni prima, in una giornata di protesta diventata harakiri di un movimento troppo fragile per resistere all’urto di un evento troppo grande. Nel senso che – come i NoExpo stessi denunciavano – quell’evento era destinato a plasmare Milano negli anni a seguire, e a distanza di 10 anni possiamo vedere i cocci che ha lasciato a terra, molto più pericolosi di quelle vetrine frantumate da 300 persone in tuta nera il Primo Maggio 2015.
Il movimento NoExpo è stato spazzato via dai fatti di quel pomeriggio e da sei mesi di successo popolare del grande evento. Un movimento spazzato via nonostante le previsioni sul modello Expo, poi modello Milano, le avesse azzeccate tutte. C’erano una serie di parole chiave utilizzate dai NoExpo in quegli anni: debito, cemento, precarietà, corruzione, mafie, poteri speciali, business food, paranoia securitaria. Vi ricordano qualcosa? L’incantesimo che ha imbambolato il centrosinistra milanese per dieci anni si è nutrito di queste parole, masticandole e facendole digerire ai propri elettori nel nome del governo della città. E così oggi Milano è una città che soffoca nel debito pubblico e nei debiti dei milanesi che non arrivano alla fine del mese; è una città che ha consumato suolo e ha cementificato anche in altezza, inventandosi nuovi grattacieli di oltre 20 piani autorizzati come ristrutturazioni di edifici bassi; è la città della precarietà, che continua a sedurre migliaia di giovani studenti ogni anno (le iscrizioni alle università sono in costante aumento) per poi tradirli appena deve metterli al lavoro; una città mafia full, dove le inchieste della Procura hanno raccontato di una inedita ed eccezionale alleanza delle tre mafie italiane: ‘Ndrangheta, Camorra e Cosa Nostra; i poteri speciali sono così diventati la norma, l’eccezione la regola, i luoghi della partecipazione – anche il Consiglio Comunale – esautorati dalle loro funzioni di indirizzo, controllo e verifica dell’operato di mister Expo; il cibo, grazie ad Expo, è diventato food e Milano è diventata un grande padiglione del Giappone dove il modello dell’Esposizione è diventato il modello della città: ristoranti fighetti, kebab gourmet, supercazzole assortite; una paranoia securitaria che oggi ha trovato nuovi bersagli come i giovani di seconda generazione, bollati come maranza e eletti a male assoluto di questa città colorata di zone rosse e abitata da piccoli balilla della notte che si divertono a pestare presunti ladri di strada (rigorosamente neri). Le turbolenze delle seconde generazioni, la lotta di classe che portano avanti (anche) con altri mezzi, sono stati gli unici sprazzi di vitalità conflittuale vera in una città altrimenti completamente pacificata. Il luna park di Expo in città e la spugna della sinistra sui muri NoExpo hanno sigillato il senso critico della città, hanno trasformato la partecipazione in marchettificio, hanno burocratizzato gli ambiti giovanili e creativi. L’amministratore delegato fatto diventare sindaco ha tolto alla politica la politica, trasformata in uno sportello a disposizione degli affari privati, quel luna park dei costruttori che ha portato ricchezza a pochi a discapito degli abitanti. Dieci anni dopo Expo le diseguaglianze sono aumentate e i mezzi pubblici non arrivano più in orario. La metamorfosi innescata quel 3 maggio da quei colpi di spugna non ha ancora forse finito di fare danni. Solo una nuova generazione indifferente alle vecchie liturgie politiche potrà riportare a Milano il piacere del “sognare ad occhi aperti”, praticare l’utopia, l’esatto opposto del “realismo ad occhi chiusi” che le spugnette di Expo hanno fatto calare sulle nostre palpebre.
Roberto Maggioni
* nella fotografia in copertina gli spugnettari del 3 maggio 2015 cancellano una scritta dedicata a Carlo Giuliani lungo il percorso del corteo NoExpo del Primo Maggio
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