Milano, nulla deve cambiare perché nulla cambi
La giornata di ieri a Milano si potrebbe riassumere utilizzando, storpiata, la celebre frase tratta da “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa in cui il giovane Tancredi, che ha scelto di stare coi garibaldini durante lo sbarco dei Mille in Sicilia dice allo zio, il Principe di Salina, lealista coi Borbone per “motivi di decenza” che per mantenere i propri privilegi la nobiltà siciliana deve cambiare e schierarsi per l’unità d’Italia.
Ecco, ieri a Palazzo Marino non abbiamo avuto neanche il brivido di una parvenza di cambiamento, a parte le previste dimissioni dell’Assessore all’Urbanistica Tancredi eletto ad agnello sacrificale dell’intera vicenda.
Certo c’è stata qualche chiacchiera su improbabili discontinuità che assomigliano in tutto e per tutto alle vuote chiacchiere dopo il primo turno delle comunali del 2016 dove, terrorizzata dal perdere col centrodestra, la sinistra istituzionale meneghina, per raccimolare qualche voto a sinistra da parte di quell’elettorato che non aveva tollerato la candidatura di Mr. Expo a sindaco si era inventata la supercazzola poi resa memorabile dal Terzo Segreto di Satira del “è la giunta che conta”. A dieci anni dai fatti possiamo constatare quanto fossero futili quelle promesse come lo saranno quelle attuali.
L’unico topolino partorito dalla montagna di ieri è lo spostamento del voto sulla vendita di San Siro alle due squadre milanesi spostato a settembre.
Per ribaltare un modello bipartisan che ha fatto di cementificazione indiscriminata, rendita immobiliare e dominio incontrastato dei grandi interessi privati i suoi dogmi di fede ci vorrà ben altro che la magistratura! Solo chi campa (sempre peggio) unicamente del proprio lavoro sarà l’ago della bilancia della lotta contro lo strapotere degli appetiti dei pochi.
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