Il futuro di Piazzale Loreto e la necessità di una svolta pubblica a partire dai municipi

Il progetto di riqualificazione di piazzale Loreto, al momento, sulla carta, è congelato, e non soltanto per la bufera che ha investito Milano con lo scandalo dell’urbanistica e le indagini della Procura, sul sistema di potere che girava intorno alla Commissione Paesaggio e ad un network – altamente selezionato – di manager e superconsulenti delle principali multinazionali del mattone, ma perché Sindaco e Giunta pare non ritengano opportuno bloccare in questo momento uno snodo intermodale centrale come quello di piazzale Loreto, con le Olimpiadi Invernali di Milano-Cortina alle porte, quando i flussi in entrata aumenteranno esponenzialmente. Il fattore mobilità non è però sicuramente l’unico ad aver giocato un ruolo determinante in questa vicenda. Un fondamentale contributo è arrivato senz’altro dal protagonismo civico dell’attivismo di zona e dal dibattito pubblico scatenatosi attorno al progetto di questa grande opera, con tanto di prese di posizione nette, accompagnate spesso da gesti tangibili (come esposti, lettere, appelli, petizioni, iniziative politiche di vario titolo) da parte delle forze sociali in campo, quali comitati di quartiere, sindacati inquilini, reti politiche e ambientaliste che hanno assunto, insieme ad alcune voci di giornalisti e intellettuali, tra cui vanno contate anche gli sparuti interventi critici di pochi consiglieri di maggioranza – al di là dell’opportunismo strumentale dell’opposizione – che hanno manifestato seri dubbi sul progetto di sviluppo sulla piazza, presentato da Nhood, sollevando questioni precise in merito a LOC2026, al modello di rigenerazione urbana desunto e alle ricadute sociali e ambientali che questo comportava nei quartieri limitrofi e per i suoi abitanti.

Decisiva si è rivelata la parabola giudiziaria che ha travolto il Sindaco Sala e la sua Giunta, soprattutto nelle ultime settimane, con le inchieste sui presunti abusi edilizi concessi “a favore di palazzinaro” che hanno lambito anche il progetto di piazzale Loreto. In particolare colpiscono alcune delle parole – uscite a mezzo stampa – delle intercettazioni tra alcuni dei protagonisti della vicenda. Quello che fino a poco tempo fa appariva come un sistema al limite della legalità, oggi è messo in discussione in toto, finalmente dalla politica e dalla Procura. Emerge delle carte, l’intenzione – sottotraccia – di procedere anche su Loreto, con una SCIA, una semplice comunicazione attraverso la quale un privato informa l’amministrazione di essere pronto ad iniziare i lavori. Proprio questo strumento amministrativo si trova ora sotto la lente di ingrandimento degli inquirenti perché in molti casi l’utilizzo indebito di questa prassi avrebbe consentito agli operatori privati di far passare come semplici ristrutturazioni, nuove costruzioni, un equivoco non poco rilevante, visto che in questi casi bisognerebbe invece procedere attraverso un piano attuativo.

Ma che cosa è la SCIA? La SCIA è una procedura amministrativa semplificata, un autocertificazione (o dichiarazione sostitutiva) per la quale il privato dà comunicazione all’amministrazione di essere idoneo all’inizio dei lavori. I problemi sorgono nel momento in cui questo meccanismo è applicato in maniera impropria o incongruente rispetto al tipo di utilizzo per cui è nata la procedura. Infatti, in tutti questi anni, è stato sovrautilizzato da operatori immobiliari come Coima SGR, Bluestone, Hines, Lendlease SGR e Nhood, per ottenere un risparmio cospicuo sugli oneri di urbanizzazione e i tempi di attesa per l’avvio dei lavori. Oneri di urbanizzazione già bassissimi a Milano, che se paragonati alla maggior parte delle città europee sono rimasti gli stessi per oltre sedici anni, per l’ammontare di un danno erariale stimato oltre i 2 miliardi di euro per le casse pubbliche. Una procedura e un sistema di compiacenze che hanno permesso a queste multinazionali di spadroneggiare sul mercato immobiliare, in qualità di soggetti privilegiati. Forse soltanto adesso per la prima volta, l’opinione pubblica sta realizzando con chiarezza gli effetti diabolici di questo “presunto” sistema clientelare: gli oneri di urbanizzazione avrebbero potuto finanziare welfare metropolitano e i servizi pubblici di base, invece il Comune afferma costantemente di non avere fondi a sufficienza per progetti sociali e stanziare risorse per asili, scuole, case piscine  e palestre. In questo humus culturale va collocata tutta la vicenda di piazzale Loreto. L’ex Assessore all’Urbanistica, Giancarlo Tancredi, confrontandosi con Carlo Masseroli – manager di Nhood – gli spiega quanto sia diventato difficile, a causa dei riflettori accesi, provare a mantenere avanti gli accordi iniziali, senza cambiare considerevolmente le regole di ingaggio. A questo punto  Masseroli, che a sua volta fu Assessore all’Urbanistica del Comune di Milano con la Giunta Moratti, propone a Tancredi una strategia condivisa per sbloccare la situazione: appunta su un foglietto, ritrovato poi a casa di Tancredi (durante una perquisizione, nda), in cui illustra la possibilità di affrontare un contenzioso legale tra Nhood e il Comune, allo scopo di giustificare la richiesta dello sviluppatore di un aumento dei volumi di superficie edificabile come risarcimento.

Il cuore pulsante della protesta batte però proprio tra via Padova e piazzale Loreto, dove il comitato Abitare in Via Padova, uno dei più attivi e autorevoli in città, sui temi del diritto alla casa, insieme a gli esposti individuali presentati da alcuni cittadini, ha guidato la resistenza su piazzale Loreto, puntando il dito contro questo progetto di riqualificazione della piazza e contro l’attuale deregolamentazione urbanistica “che gridava vendetta”. Basta pensare al caso eclatante delle Park Tower a Crescenzago e della palazzina di sette piani costruita al posto di un garage, in un cortile di un palazzo, nelle vicinanze di piazzale Aspromonte. In maniera particolare il lavoro di Abitare in Via Padova si è fatto notare per freschezza e dinamismo. AVP è un comitato di abitanti, che unisce esperienze diverse di attivisti storici della zona con l’associazionismo territoriale (Amici del Parco Trotter, Anpi 10 agosto 1943, Via Padova Viva, Bellarqua) e la cooperazione sociale (Comin, B-Cam). Comitato che ha promosso un interessante raccordo di reti raccogliendo attorno a sé competenze tecniche ed energie effervescenti: dai sindacati inquilini (Sicet e Unione Inquilini), a Mutuo Soccorso Milano Aps – che ha costituito recentemente un comitato nelle case ALER di via Lulli e via Porpora, con la consegna dei pacchi alimentari. 

Su Loreto Abitare in Via Padova ha inizialmente attivato un percorso di elaborazione critica attorno al progetto LOC2026 presentato da Nhood, e successivamente ha stimolato il dibattito pubblico attorno alla grande opera col frame “Laboratorio Loreto” in qualità di contraltare democratico, rispetto ai meccanismi blandi di partecipazione consultiva, messi in campo dall’amministrazione comunale. Successivamente ha radunato tutti i soggetti critici  rispetto al progetto (oltre venti associazioni dei Municipi 2 e 3) chiedendo delucidazioni e chiarimenti rispetto alla realizzazione della nuova piazza, problematizzando soprattutto sugli effetti e le ricadute oggettive sul quartiere, correlati al all’intervento urbanistico in previsione. Infatti mentre il Nhood e il Comune presentavano come un gran successo il fatto che il valore degli immobili sarebbe aumentato dal 30 al 40%, Abitare in Via Padova, con Laboratorio Loreto avvertiva che questo fenomeno consequenziale avrebbe condannato tutta una parte della popolazione urbana all’espulsione dal quartiere, per non dire dalla città, in un territorio, come quello di Loreto, già molto sotto pressione, soprattutto per la sua vicinanza di Nolo, il quartiere recentemente divenuto simbolo della gentrificazione.

Laboratorio Loreto ha cercato di sensibilizzare l’opinione pubblica e di mettere in evidenza tutti gli aspetti più controversi che ruotano attorno a LOC2026: l’innalzamento dei valori immobiliari, stimati dalla multinazionale come esternalità positiva, avrebbe comportato un miglioramento relativo nei confronti di quei proprietari di casa che si trovano a vivere nella zona con la loro prima casa, anzi, a dire il vero, la crescita dei valori immobiliari avrebbe portato con ogni probabilità all’esplosione degli affitti che a cascata sarebbe ricaduta sul costo della vita medio in quartiere. Contemporaneamente, molti elementi del progetto rimanevano aperti – per non dire opachi – e senza risposta. Per questa ragione, Laboratorio Loreto, con Abitare in Via Padova come capofila ha chiesto in una lettera alle istituzioni, delucidazioni in merito a diversi punti cogenti sul progetto: che ne sarebbe stato della memoria storica della piazza (simbolo dell’antifascismo milanese e italiano); quanto si sarebbe concesso in cubature e in volumetrie al progetto; come si sarebbe articolato l’utilizzo dello spazio sociale di 200 mq, previsto inizialmente dalla convenzione e poi successivamente sparito; quale sarebbero state le regole di gestione dello spazio pubblico nel momento in cui la piazza sarebbe diventata privata (un vero scandalo!); in che modo l’amministrazione pensava di difendere, attraverso la pedonalizzazione della prima parte di Via Padova, la vendita al dettaglio dei negozi multietnici, che si trovano tra Loreto e la rotonda di via Predabissi, che sono parte integrante del tessuto sociale e dell’identità del quartiere, mentre la trasformazione di piazzale Loreto e di Via Padova correvano il rischio di diventare il prolungamento di Corso Buenos Aires, attraendo soprattutto grandi catene del food e del retail; che ne sarebbe stato di tutti coloro che sarebbero stati colpiti dalla gentrificazione “indotta” ed espulsi dal caro affitti, considerando l’aumento del numero degli sfratti nei quartieri interessati.

Contro la precarietà abitativa, due le proposte avanzate da Laboratorio Loreto al Comune di Milano, in diversi occasioni istituzionali, di fronte a Giunta e al Consiglio Comunale, e riportate più volte nei Consigli di Municipio 2 e 3, in quanto istituzioni di prossimità: il recupero dei vuoti, come pratica strategica a zero consumo di suolo, come nel caso dello stabile dismesso dell’ex Hotel Pasteur, e lo stop all’alienazione delle case popolari di viale Lombardia 65, di proprietà di MM, la società che gestisce i servizi abitativi pubblici per conto del Comune di Milano. Con la campagna “Loreto Pubblica” Abitare in Via Padova e Laboratorio Loreto hanno chiesto di preservare il patrimonio residenziale pubblico della zona, fermando la vendita di quel complesso di alloggi, prevalentemente vuoti, che l’amministrazione aveva intenzione di immettere sul mercato privato, vendendolo al miglior offerente. La rete di quartiere ha respinto al mittente questo scenario e ha chiesto piuttosto che quegli appartamenti sfitti venissero sistemati e poi assegnati a chi da anni aspetta una casa dignitosa perché è in lista di attesa. Le case popolari di viale Lombardia 65, tra l’altro, sono ex case della Società Umanitaria, del vecchio quartiere operaio di Casoretto, che rappresentano dal punto di vista architettonico un fiore all’occhiello del patrimonio edilizio milanese oltre che essere riconosciuta come una risorsa strategica importante, in quanto infrastruttura sociale essenziale per la tenuta democratica del sistema urbano, in gradi di garantire l’esigibilità del diritto alla casa anche a chi è più esposto a condizioni di vita precarie.

Qualche settimana fa, grazie alla pressione esercitata dal basso del movimento per il diritto all’abitare di Milano, i comitati civici hanno ottenuto una mozione, presentata dal Presidente della Commissione Casa e votata dalla maggioranza del Consiglio Comunale attraverso la quale l’amministrazione, in via del tutto nominale, si assume l’impegno formale, di rinunciare alla vendita di quelle case e trovare delle risorse da stanziare per il recupero di quelli alloggi popolari, al fine di consegnarli ai legittimi assegnatari. Il comitato Abitare in Via Padova ha dato notizia del voto della mozione sui suoi social, rivendicando questa piccola vittoria come un piccolo primo passo compiuto nella direzione giusta, un primo passo che ha richiamato l’attenzione dell’amministrazione all’urgenza di produrre risultati concreti, dichiarando che stavolta gli abitanti e i cittadini di Milano non si sarebbero accontentati di una “spolverata di sociale” (citazione dalle carte dell’inchiesta della Procura di Milano su piazzale Loreto, di una conversazione tra un funzionario comunale e un consulente immobiliare).

Questa crisi del modello Milano a cosa è dovuta? Il governo della città deve operare necessariamente per il bene comune, governare la città significa fare gli interessi di tutti i cittadini, non solamente del proprio gruppo sociale di riferimento, o peggio, nell’esclusivo interesse di alcuni gruppi d’affari contro l’interesse della maggioranza, come fatto dall’attuale Giunta, in maniera sempre più vistosa. Il problema di fondo per il quale tutti i cittadini stanno recriminando la situazione attuale dipende dal fatto che un’intera classe dirigente, al posto di governare le trasformazioni urbane a Milano abbia completamente abdicato la propria funzione al settore privato, ad imprese e ad un’élite di professionisti l’idea di sviluppo urbanistico sulla città. Come ripetuto già in diverse occasioni e interviste da Ada Colau, l’ex Sindaca di Barcellona, la leva urbanistica è il principale strumento di governo per un’amministrazione locale, se questa viene meno, viene meno anche il suo mandato a tutela degli interessi collettivi, che dovrebbe essere ispirato da una genuina vocazione sociale e pubblica nel nome del benessere di tutti i cittadini. Nel caso infausto in cui si verifichi l’esatto contrario, ci troveremmo di fronte a una crisi della tenuta dei valori democratici alla base del patto sociale, straordinariamente incrinato a Milano. Questa falla, del resto, arriva da lontano. 

Basti pensare al progetto di riqualificazione di via Padova, e a come questo sia stato presentato dalle associazioni territoriali nel 2017 e come sia stato poi tradotto e stravolto, in fase realizzativa, dopo che il progetto dal basso aveva vinto il bando del “Bilancio Partecipativo” come esercizio di democrazia diretta, sulla scorta delle esperienze nate attorno al Social Forum di Porto Alegre. L’associazione di Via Padova Viva, infatti, presentò un progetto di riqualificazione tra via Cambini e via Arquà, con alberi, panchine, aiuole, piste ciclabili. Questo progetto vinse il bando del “Bilancio Partecipativo” e negli anni venne completamente snaturato e cambiato, precipitando verso quell’idea di città e di arredo urbano che la Giunta Sala ha come stella polare, molto più coerente con il tentativo di dare impulso alla gentrificazione e all’esclusione nel quartiere: sono spuntati maxi marciapiedi già pronti ad ospitare tavolini e dehors, posati vasi di terracotta che si sono trasformati presto in cestini della spazzatura, che nel frattempo sono spariti, scatenando il panico nella via e la caccia al degrado. Il progetto di riqualificazione è stato realizzato con grande ritardo, raddoppiato, rispetto all’originale ma armonizzato all’idea di decoro urbano che Piazzale Loreto con LOC2026 avrebbe dovuto portare. Un episodio paradigmatico di come il travisamento degli strumenti democratici della partecipazione civica, se svuotati di senso, possano generare  malcontento, sfiducia nelle istituzioni e una crisi del consenso.

Milano storicamente è un luogo accogliente e inclusivo, dove ogni persona e gruppo sociale può trovare spazio, casa e una propria dimensione di partecipazione e di emancipazione individuale e collettiva. In questo senso via Padova, ma non è certo l’unico quartiere, racconta questo spirito e questa tensione, nei suoi tratti peculiari che plasmano la sua storia e la sua identità territoriale. Oggi Milano, non è più così. Oggi è la città delle ingiustizie e dei contrasti, dell’ostentazione della ricchezza sotto gli occhi del povero e dell’assenza di prospettive per i giovani italiani e di seconda generazione. Milano è divenuta città teatro delle disuguaglianze e città separata e insofferente. La maggioranza dei problemi di coesione sociale, che vengono espressi nel dibattito mainstream, sono ben sintetizzati nel dualismo che intercorre tra diritto all’abitare e sicurezza individuale, percepite come due delle urgenze, su cui presentare una proposta valida alla città alle prossime elezioni. La questione abitativa da una parte, insieme alla qualità dei servizi pubblici e di welfare, e della sicurezza dall’altra, come cartina di tornasole esplicita che ben descrive la ferita aperta tra le categorie polarizzate presenti nella narrazione dominante. In questa città c’è bisogno di riscoprire, come ha detto in un’intervista al Corriere della Sera l’Arcivescovo di Milano Mario Delpini, una visione d’insieme, solidale, per cui diventa più importante costruire ponti (metaforicamente parlando, nda) al posto di muri, rivalutando i legami umani tra pari senza trascurare i legami tra persone di estrazione sociale diversa. Il cosiddetto mix sociale, tanto decantato nei convegni delle università, andrebbe praticato un po’ di più, intanto a partire proprio dai consessi politici e sociali.  

Ora tocca guardare avanti, ma nella direzione diametralmente opposta. Uno dei temi da cui ripartire a percorrere questo tipo di ragionamento, è quello di ridare dignità ai municipi e di concedere loro maggiori poteri, con un’opera di decentramento sostanziale, soprattutto considerando strategici alcuni ambiti e certe competenze specifiche, sulla scorta di altri esempi metropolitani, come nel caso emblematico di Roma Capitale. Questo tipo di riorganizzazione porterebbe innovazione in città e aiuterebbe le istituzioni a riconnettersi con i bisogni vivi dei cittadini, sincronizzando le aspettative reali dei quartieri, senza più il bisogno di inscenare laboratori fittizi di partecipazione o forum comunali ridotti a kermesse autocelebrative. Non c’è più spazio per questo genere di politica. Occorre un nuovo respiro. La democrazia va preservata e la storia recente ce lo insegna, con buona pace degli expottimisti della prima ora e degli amanti dei commissari straordinari al posto dei sindaci. 

Angelo Junior Avelli

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